
"Fiat, che è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 paesi, non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato."
Lettera di Sergio Marchionne a Emma Marcegaglia. Torino, 3 ottobre 2011
L’industria dell’automobile, per l’ampiezza sia in termini materiali che di valore, ha un impatto e un peso così grande e preponderante sull’economia che non può non riflettere nella società ogni suo mutamento interno di una certa importanza.
La Fiat, ad esempio, rappresenta in Italia un metro di paragone per le altre aziende nazionali, sia in campo politico che in quello sindacale. Non è un mistero che i contratti di lavoro nazionali dei metalmeccanici abbiano sempre tratto ispirazione da quanto avveniva nella casa automobilistica torinese con un effetto domino sulle altre categorie.
Anche la rottura che la Fiat ha operato in questi giorni con Confindustria troverà i suoi imitatori e non mancherà , seguendo una testata esperienza, di produrre effetti a valanga.
Lo strappo avvenuto non è un colpo di testa di qualche sprovveduto, bensì il suggello a trasformazioni già in atto da almeno vent'anni nel "modo di fare l’automobile" che impongono necessariamente conseguenze anche nel mondo del lavoro. Il divorzio che si è consumato era nell’aria almeno da quando Fiat, da grande fabbrica nazionale, ha cominciato a "disintegrarsi" portando fuori dal suo perimetro la produzione dei componenti, trasformandosi così da grande costruttore di automobili in assemblatore di componenti prodotti altrove.
La fabbrica da verticale si è fatta orizzontale: in un sistema integrato di assemblatori, fornitori principali e secondari, appaltatori e sub appaltatori e così via, ogni elemento, benché formalmente indipendente dagli altri, si trova integrato come non mai in quella che costituisce una gigantesca filiera internazionale del valore, la quale per funzionare presuppone una strettissima coordinazione. E' questo sistema di "pianificazione industriale", che non ci sta ad essere imbrigliato in regole fisse, ad essere entrato in rotta di collisione con Confindustria, a riprova del fatto, dove ce ne fosse bisogno, che i vari Marchionne non sono nè buoni nè cattivi ma incolori personificazioni di una rete di interessi aziendali.