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Riconoscere i diritti di tutt*, stabilizzare tutt* i e le precar*,

Da anni il mondo della scuola è avvelenato da un precariato strutturale, che è arrivato a coprire quasi un quinto di tutti i posti di lavoro del settore (circa un milione). Decine di migliaia, centinaia di migliaia di uomini e donne che per anni, talvolta decine di anni, sono stati assunti anno scolastico per anno scolastico (di solito cambiando scuola, comune o persino provincia), spesso assunti a settembre e licenziati a giugno (vivendo d'estate con la disoccupazione). Ancora oggi sono decine e decine di migliaia (si calcola circa 80mila), nonostante le cattive "buonescuole" e le fragili promesse dei diversi governi. Non solo. Questo precariato strutturale, come ogni sistema di assunzione nella scuola, è stato frammentato in fasce e percorsi diversi (concorsi, abilitazioni, PAS, TFA; SFP, diplomi, FIT e chi più ne ha più ne metta), in cui ogni soggetto è stato messo uno contro l'altro, dividendo lavoratori e lavoratrici sulla base di graduatorie e priorità diverse. Un sistema infernale, in cui le persone si contrappongono alle persone ed i diritti ai diritti, tenendo la scuola in un perenne stato di confusione, sopruso e conflittualità.

In questo quadro, si è inserita la sentenza sui diplomati magistrali dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dello scorso 15 dicembre, resa pubblica il 21.

La vicenda è, come tutte queste storie di precariato nella scuola, complicata ed assurda. Cercando, con difficoltà, di esser sintetici, eccone gli elementi principali. Prima del 2002 all'insegnamento nella scuola primaria e dell'infanzia (elementare e materna) si accedeva con il diploma della scuola magistrale (la cosiddetta maturità), che dava diritto all'inserimento nelle graduatorie per l'assunzione e che conservava in via permanente tale titolo di accesso (DPR del 23 luglio 1998). Da quell'anno per l'accesso ai ruoli della scuola elementare e materna fu istituito un corso di laurea: Scienze della Formazione Primaria.

Nel 2006 il governo (centrosinistra, legge 296/06) cambiò il sistema di assunzione nella scuola e quindi trasformò le Graduatorie Permanenti in Graduatorie ad Esaurimento (GaE), decidendo anche di considerare il diploma magistrale titolo "idoneo" (per accedere ai concorsi), ma non "abilitante" (che permetteva l'inserimento in graduatoria). In questo modo con il diploma magistrale si poteva accedere solo alla cosiddetta "terza fascia d'Istituto" (supplenze temporanee decise da ogni scuola, per chi non aveva l'abilitazione, a cui si ricorre solo quando esaurita la graduatoria d'Istituto di "secondo fascia"). Nel 2014 un ricorso riconobbe il valore abilitante del loro titolo (parere del Consiglio di Stato, sez. II, n. 3813 recepito con DPR 25 marzo 2014 e DM n. 353 del 22 maggio 2014). I diplomati però non furono a quel punto inseriti nelle graduatorie, perché le GaE erano chiuse dal 2007, essendo appunto delle graduatorie "ad esaurimento". Questa situazione paradossale (il riconoscimento di un diritto ma nel contempo l'impossibilità di esercitarlo) ha aperto una lunga serie di ricorsi e contenziosi davanti a Giudici del Lavoro e anche allo stesso Consiglio di Stato.

Diverse sentenze hanno perciò inserito in GaE più di 40000 docenti (circa 43.600 oggi, secondo dati del MIUR), per la maggior parte in attesa di sentenza definitiva e quindi sub iudice. Tali graduatorie sono state utilizzate in questi anni per l'assunzione in ruolo, nel limite del 50% dei posti conferibili (per evitare che i nuovi laureati siano per anni esclusi dalla possibilità di insegnare), oltre che per l'attribuzione di supplenze. Diverse migliaia sono stati quindi assunti a tempo indeterminato (si calcola 5/7mila) e ancora di più hanno insegnato con contratti a tempo determinato (più o meno annuali). Due o tremila, paradosso nel paradosso, hanno già concluso il loro percorso giuridico: la loro assunzione o inserimento in GaE sono definitive, essendo i loro casi passati in giudicato, e quindi oggi sono comunque immuni dagli effetti dell'ultima sentenza.

Il 15 dicembre 2018, infatti, il Consiglio di Stato in adunanza plenaria ha respinto un ricorso, rovesciando un orientamento giuridico che si pensava ormai consolidato. Due le principali motivazioni di questa inaspettata sentenza. Primo: la tardiva impugnazione dell'atto: i diplomati avrebbero dovuto presentare la domanda di inserimento nelle Gae subito nel 2007, a pena di decadenza (anche se a loro era negato), impugnando allora anche il relativo decreto di aggiornamento delle graduatorie. Secondo: l'Adunanza plenaria ha anche avanzato una diversa interpretazione del parere del Consiglio di Stato del 2013 (prima richiamato), utilizzato da tutte le corti anche in sentenze passate in giudicato per riconoscere il valore abilitante del diploma, che di fatto lo sconfessa perché a quel titolo si attribuisce sostanzialmente solo il diritto ad un'idoneità per le procedure concorsuali, ma non all'immediato accesso ai ruoli (tesi del governo nel 2006). In buona sostanza, secondo l'Adunanza plenaria, il titolo non è abilitante ed anche qualora lo fosse, in ogni caso, non è più possibile rivendicare alcunché, considerato che la domanda avrebbe dovuto essere presentata nel 2007 impugnando il relativo decreto.

Ora, sicuramente l'abilitazione ed il diritto all'assunzione di questi lavoratori e lavoratrici è datata, discussa e per molti versi atipica. Chi però ha creato questa situazione intricata, paradossale e per molti aspetti delirante è stato proprio il governo. La loro mancata assunzione, i tempi lunghi delle vertenze giuridiche e la loro contraddittorietà, sono proprio il prodotto di un sistema strutturale di precariato che ha permesso ai diversi governi (di centrodestra, tecnici e di centrosinistra), in questi dieci anni, di tagliare significativamente le risorse all'istruzione, risparmiando su stipendi e anzianità. Oggi tutti questi lavoratori e lavoratrici, sia quelli già assunti sia quelli ancora in graduatoria, rischiano quindi di non poter più lavorare, all'improvviso ed inaspettatamente (in applicazione e conseguenza della sentenza), con licenziamenti diretti e mancate riassunzioni.

Il 4 gennaio si terrà un incontro tra ministero e organizzazioni sindacali, che presumibilmente chiederanno il mantenimento delle posizioni sino alla fine dell'anno scolastico (anche per garantire continuità didattica agli alunni) e percorsi certi di stabilizzazione per le decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici interessate. Questa situazione, che rischia di produrre uno dei più grandi licenziamenti di massa dal pubblico impiego nella storia del nostro paese, deve però esser occasione non solo di difendere questi lavoratori e lavoratrici, ma anche di provare a risolvere finalmente il precariato strutturale della nostra scuola, l'assurda divisione e frammentazione del suo personale.
Per questo pensiamo che bisogna oggi rivendicare:
- un piano straordinario di assunzioni, che porti a coprire tutti i posti in organico con personale a tempo indeterminato, esaurendo realmente le "Graduatorie ad esaurimento" che esistono oramai da più di dieci anni e garantendo il passaggio in ruolo di tutti i precari con tre anni di servizio (siano essi diplomati magistrali, laureati in Scienze della Formazione Primaria, abilitati TFA, PAS o altro);
- in questo quadro, un'immediata soluzione politica, con rapidi e certi percorsi di stabilizzazione di tutt* i precar* colpiti da questa situazione paradossale, con percorsi di immissione in ruolo riservati ai docenti abilitati magistrali che tengano conto dei titoli e degli anni di esperienza;
- l'eliminazione del nuovo modello di reclutamento della Buonascuola (il FIT), che generalizza e consolida il precariato con percorsi triennali di ingresso con un salario ridicolo e offensivo (500 euro al mese).

In ogni caso deve esserci subito una risposta di mobilitazione. Qualunque soluzione concreta e complessiva non sarà infatti ottenuta dalla ripresa di lunghi e tortuosi percorsi giuridici, o dalla semplice trattativa al MIUR. In queste settimane festive, pur con le scuole chiuse, sentiamo infatti crescere in maniera diffusa la richiesta e la spinta a lottare. Non solo di chi ha passato Natale e Capodanno chiedendosi se avrà ancora un lavoro nei prossimi mesi, ma di tutto il mondo della scuola. E' importante allora cogliere quest'occasione proprio per ricostruire subito un fronte unitario, non solo nelle rivendicazioni ma anche riprendendo l'iniziativa. Per riconoscere i diritti di tutt*, per stabilizzare tutt* i e le precar*.

L' 8 gennaio diverse organizzazioni sindacali hanno indetto uno sciopero (al momento ci risultano Saese, Anief, Cub e Cobas). Non condividiamo radicalmente impostazione, proposte e rivendicazioni di diverse di queste organizzazioni. Talvolta sono nate e vissute proprio su queste divisioni e questo mercato dei diritti, con logiche corporative se non individualistiche, senza promuovere non solo una lotta sindacale, ma neppure una rivendicazione collettiva. Riteniamo però che dare oggi una risposta di lotta sia oggi fondamentale. Per questo chiediamo con forza alla segreteria nazionale della FLC di indire lo sciopero per la stessa giornata, chiedendo a tutte le altre organizzazioni sindacali di unirsi a questa protesta. Cercando di sviluppare quindi un percorso di ripresa della mobilitazione di tutto il mondo della scuola, anche nella prospettiva del rinnovo contrattuale e del contrasto alla legge 107. Per questo riteniamo in ogni caso importante la riuscita di quella giornata di mobilitazione. Per questo ci impegneremo ovunque possibile.

OpposizioneCGIL nella FLC

[tratto da https://sindacatounaltracosa.org]