In Giordania oggi è sciopero generale (#JordanProtests, #JordanStrikes). La mobilitazione è stata indetta da varie sigle sindacali che intendono rappresentare il malessere dei lavoratori e dei senza riserve per l'aumento vertiginoso dei prezzi e per la nuova legge fiscale richiesta dal Fondo monetario internazionale in cambio di un programma di finanziamento. Dall'inizio dell'anno i giordani hanno dovuto far fronte a ripetuti rialzi dei prezzi, compreso quello del pane, e delle tasse sui beni di prima necessità (secondo stime ufficiali il 18,5% della popolazione è disoccupata, mentre il 20% è sull'orlo della povertà). Al Jazeera riporta la dichiarazione del capo della Federazione dei sindacati del paese, Ali Obus, che ha chiesto che lo stato "mantenga la sua indipendenza e non si pieghi alle richieste del FMI".
La rabbia sociale continua a manifestarsi nelle piazze da oltre una settimana e non accenna a diminuire, nonostante il fatto che il primo ministro Hani Mulki – su indicazione del re Abdallah II – si sia dimesso, e sia stata annunciata la cancellazione del contestato disegno di legge. Oggi sono rimasti chiusi gli ospedali pubblici, le farmacie e molte altre attività economiche. Nel tardo pomeriggio è previsto un sit-in ad Amman davanti alla sede del governo.
A quante pare l'ondata di rivolta partita con la Primavera araba (2011) non accenna a fermarsi, e dopo Tunisia, Egitto, Algeria, Marocco e Iran, adesso è arrivato il turno del Regno Hascemita. "La questione sociale è viva dentro e oltre il Mediterraneo", scrive la rivista di geopolitica Limes, in un articolo del 4 giugno. Noi cambieremo il titolo così: "La lotta di classe è viva dentro e oltre il Mediterraneo."
Oggi è sciopero generale in #Giordania, stasera sit-in davanti alla sede del governo, dimessosi la settimana scorsa.
— strelnik (@strelnik) 6 giugno 2018
Nella foto di @YasminFaruki un avvocato in sciopero avvisa che la pressione sociale è a livello di bomba innescata #اضراب_الاردن #JordanProtests #JordanStrikes pic.twitter.com/TgtolsNRoL